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Fedeli alla linea

© Mauro Quirini, dalla serie "Non ricordo dove", 23 aprile 2014
© Mauro Quirini, dalla serie “Non ricordo dove”, 23 aprile 2014

Nel saggio Nature, pubblicato nel 1836, ovvero tre anni prima della messa a punto della fotografia, Ralph Waldo Emerson scriveva: «La prosperità dell’occhio sembra esigere un orizzonte. Non saremo mai stanchi finché riusciremo a guardare lontano abbastanza».
Ora, che si parli di pittura, fotografia, cinema, insomma di arti visive in generale, la linea dell’orizzonte è materia che, all’interno di un’inquadratura, dovrebbe essere trattata con la dovuta cura. Anzi, per il flusso di immagini che mi capita di vedere quotidianamente, affermerei con decisione che dovrebbe essere trattata con maggiore cura.
Anche se questo spazio tratta di fotografia, non a sproposito ho esordito con una citazione che ne precede l’immissione sul mercato: suggerisco infatti a coloro che usano una fotocamera e che hanno a che fare con gli orizzonti, di andare a ripescare quantomeno un spicchio di storia dell’Arte che fornisca indicazioni preziose in merito. La pittura olandese, per estrapolare un esempio su tutti, che molto ha da insegnare sull’argomento.
Oppure, tornando in epoca contemporanea, di leggere il “sempreverde” Panofsky, che nel 1984, a tale proposito spiegava: «L’orizzonte dipinto, che costituisce l’altezza d’occhio di chi osserva, determina se le linee di fuga si dispongano in senso ascendente o discendente (…)».
Determina perciò – e non tanto in senso fisico, quanto simbolico – il nostro rapporto con la realtà che osserviamo. Rapporto che, per poter essere credibile, deve essere coerente.
Non basta dunque la distinzione da manuale per dilettanti tra landscape (immagine in cui la linea di orizzonte lascia più spazio alla terra) e skyscape (immagine in cui si concede maggior porzione al cielo).
Pensiamo solo a come Joseph Koudelka “straziava” gli orizzonti in Caos, portandoli a storture vertiginose ma funzionali, confrontiamoli con quelli perfetti degli Seascape di Hiroschi Sugimoto.
Ragioniamoci su, recuperiamo significati che possano essere utili alla nostra progettualità.
E nella riflessione, abbandoniamo la fotografia ancora una volta, andiamo a scoprire l’etimologia di questa parola, che deriva dal greco e descrive un cerchio, ancor prima che una linea. È ciò che ci circonda, che delimita il nostro sguardo.
L’orizzonte è un concetto, un simbolo, una metafora: può essere ristretto, allargato, perduto, sinonimo di futuro, caricato di disillusioni o speranza. È una miniera che contiene ricchezze da estrarre e applicare con cautela.
Persino le neuroscienze guardano alla nostra intelligenza emotiva come a un paesaggio dall’orizzonte personalissimo e cangiante.
Assumiamo la linea dell’orizzonte come una buona medicina, allora, senza dimenticare di leggerne attentamente le modalità d’uso più consone al mantenimento del nostro stato di salute fotografica.